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Welfare aziendale: quali opportunità e quali rischi?

I cambiamenti nella struttura sociale e demografica del nostro Paese, l’emergere di nuovi rischi sociali e le conseguenze connesse alla recente crisi economico-finanziaria hanno profondamente cambiato il volto del welfare italiano. Negli ultimi anni il sistema di protezione sociale pubblico è apparso in crescente difficoltà nel fornire risposte efficaci alle richieste provenienti dai cittadini. Di conseguenza, sono nate forme di intervento sociale che, mobilitando risorse economiche non pubbliche, hanno cercato di integrare e sostenere il welfare state. In questo ambito – che è stato definito «secondo welfare» (Maino e Ferrera 2017) – si trovano anche le iniziative di welfare occupazionale, cioè quell’insieme di interventi forniti ai dipendenti dalle aziende private e dallo Stato (nella sua veste di datore di lavoro) in conseguenza del rapporto di lavoro che intercorre fra i primi e i secondi.

In questa dinamica di natura integrativa rientra il welfare aziendale, il quale, a livello generale, può essere definito come un insieme di servizi e dispositivi in denaro progettati per accrescere il benessere personale, lavorativo e familiare dei dipendenti. Sotto tale definizione possono essere annoverati tutti quegli interventi – diretti alla totalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi – che spaziano dal sostegno al reddito familiare, allo studio e alla genitorialità fino alla tutela della salute, dalla previdenza complementare a interventi per la facilitazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Inoltre, possono essere ricomprese anche quelle forme di flessibilità oraria e smart working che hanno come scopo quello di facilitare l’articolazione dei tempi personali e lavorativi.

Dal punto di vista normativo, il welfare aziendale è regolamentato dagli articoli 51 e 100 del Tuir(Testo Unico delle Imposte sui Redditi). A tal riguardo, è importante tener presente il fatto che il legislatore non fornisce una definizione chiara e distinta di welfare aziendale: la normativa indica infatti una serie di benefit destinati ai lavoratori dipendenti – alcuni con una chiara valenza sociale e altri no – che non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente e, di conseguenza, godono di un particolare favor fiscale.

Come detto, il welfare aziendale trova la sua origine in una relazione ben definita: il rapporto lavorativo. Allo stesso tempo, però, tale fenomeno può avere “fonti” differenti: può infatti essere il risultato di un’iniziativa assunta unilateralmente dall’impresa che, attraverso un regolamento vincolante o meno, senza il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali, decide di realizzare un’offerta di misure di welfare; oppure può essere la conseguenza di un accordo collettivo che vede coinvolti, da un lato, l’impresa o le associazioni di rappresentanza datoriale e, dall’altro, le organizzazioni sindacali. In tal caso, le iniziative di welfare possono essere definite in vari livelli contrattuali: quello nazionale (cioè dei Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro, CCNL), quello territoriale (regionale o provinciale), a livello di gruppo o di singola azienda. Tutte queste diverse “fonti” non si escludono a vicenda, ma possono integrarsi anche nella stessa impresa. Ad ogni modo, si parla di welfare aziendale in senso stretto quando l’iniziativa – unilaterale o bilaterale – è assunta a livello di singola impresa o di gruppo.

I “protagonisti” del welfare aziendale

Nel campo del welfare aziendale, accanto alle imprese in quanto tali, è possibile individuare altri protagonisti che hanno assunto un ruolo rilevante per la sua evoluzione. In primo luogo, vi è il sistema delle relazioni industriali che, attraverso il confronto tra le parti sociali, è stato decisivo nel processo di legittimazione degli interventi destinati ai dipendenti e alle loro famiglie. In secondo luogo si trovano i cosiddetti “provider” di servizi di welfare aziendale. Si tratta di società private che contribuiscono allo sviluppo del welfare aziendale vendendo il proprio prodotto sul mercato, sostenendo le imprese nell’implementazione dei servizi, diffondendo le best practice e sensibilizzando le aziende (Santoni 2017). Infine vi è lo Stato, l’attore che ha maggiormente influenzato il fenomeno in questione.

Il legislatore, infatti, sin dall’introduzione del principale riferimento normativo riguardante i servizi e gli strumenti di welfare realizzati dal datore di lavoro, ha previsto importanti agevolazioni fiscali con lo scopo di incoraggiare l’investimento delle imprese. Nel corso degli ultimi anni molti dei governi che si sono succeduti hanno approvato misure volte, direttamente o indirettamente, a coinvolgere le aziende su questo fronte. Recentemente, attraverso le Leggi di Stabilità del 2016, del 2017 e del 2018, si sono introdotte importanti novità che hanno contributo alla diffusione del fenomeno qui considerato. Nello specifico: è stata incoraggiata la partecipazione delle parti sociali al processo di negoziazione dei benefit di welfare; è stata aggiornata la normativa introducendo prestazioni destinate a proteggere i lavoratori dai nuovi rischi sociali (con riferimento particolare ai bisogni legati alla genitorialità e alla non autosufficienza) e prevedendo l’utilizzo di “voucher di welfare” per l’erogazione dei servizi previsti dall’impresa; è stato rafforzato il sistema che dà accesso alla fiscalità ridotta per le imprese; si è cercato di rendere il welfare aziendale maggiormente attrattivo correlandolo alle dinamiche riguardanti la produttività (Maino 2017).

La diffusione del welfare aziendale: i dati del Ministero del Lavoro

In assenza di analisi sistematiche su base nazionale, le poche informazioni a disposizione in merito alla diffusione del welfare aziendale segnalano in maniera convergente una crescita del fenomeno. Secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aggiornati ad aprile 2018, nel territorio italiano vi sono 9.952 contratti aziendali e territoriali attivi che regolamentano il premio di produttività: di questi 4.139 (il 42% circa) prevedono misure di welfare aziendale. Nell’aprile dell’anno precedente gli accordi che consentivano di convertire il premio aziendale in welfare erano circa il 23% del totale; mentre a luglio 2016 – periodo della prima rilevazione fatta dal Ministero – il welfare interessava solo il 17% dei contratti.

Molte ricerche e studi segnalano altresì che la diffusione del welfare aziendale non è uniforme. È infatti possibile osservare una distribuzione “a macchia di leopardo” del fenomeno, che tende a concentrarsi nelle imprese di grandi dimensioni, ad essere più presente nelle multinazionali e nelle aziende che appartengono ad un gruppo, ad affermarsi con intensità variabile nei diversi settori produttivi (Maino e Rizza 2017). All’interno del territorio italiano si registrano inoltre importanti disuguaglianze territoriali nella diffusione di questi strumenti, più comuni tra le aziende del Nord che in quelle del Sud del nostro Paese.

A tal riguardo, stando ai sopramenzionati dati pubblicati dal Ministero del Lavoro, è possibile evidenziare una maggiore diffusione di questi strumenti: nell’Italia Settentrionale (78% dei contratti depositati; contro il 16% del Centro e l’6% del Sud), nel settore dei servizi (58%) e in quello dell’industria (40%), e – tenendo conto della composizione del tessuto imprenditoriale italiano, composto quasi nella sua totalità di piccole e medie imprese – nelle aziende che contano più di 100 dipendenti (32%; contro il 53% delle realtà che hanno meno di 50 addetti e il 15% di quelle con numero di dipendenti compreso fra 50 e 99).

Una delle maggiori sfide legate al welfare aziendale riguarda proprio il superamento di questi limiti. Un’opportunità interessante per rendere tale fenomeno maggiormente inclusivo è quella che fa dell’aggregazione fra imprese e fra imprese e altri soggetti (terzo settore, enti bilaterali, governi locali) il proprio tratto distintivo: un welfare aziendale ancorato al territorio e alla comunità locale potrebbe contribuire a scongiurare crescenti forme di disuguaglianza tra imprese e lavoratori.

Per approfondire

Maino F. (2017), Welfare aziendale tra dimensione organizzativa e cura della persona, «I quaderni di Sviluppo & Organizzazione», n. 23, Milano, Este.
Maino F. e Ferrera M. (a cura di) (2017), Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2017, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.
Maino F. e Rizza R. (a cura di) (2017), Welfare aziendale e conciliazione vita-lavoro in Emilia Romagna, Rapporto di ricerca, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi
Santoni V. (2017), Welfare aziendale e provider prima e dopo le Leggi di Stabilità, in Maino, F. e Ferrera, M. (a cura di), Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2017, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.

(Fonte www.secondowelfare.it – Valentino Santoni)

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